
Nel 2024 risulta a rischio di povertà lavorativa il 10,3% degli occupati tra i 18 ei 64 anni, in lieve crescita rispetto al 9,9% del 2023. Lo rileva l’ Istat, spiegando che si definisce a rischio di povertà lavorativa un individuo che vive in una famiglia a rischio di povertà’ e ha lavorato per piu’ della meta’ dell’anno. Tale indicatore adotta dunque una definizione restrittiva di occupato, dal momento che esclude gli individui con una presenza discontinua sul mercato del lavoro e che presentano un maggior rischio di basso reddito. Le donne presentano un rischio di povertà lavorativa inferiore a quello degli uomini (8,3% contro 11,8%) nonostante abbiano una maggiore probabilità di avere un lavoro a basso reddito; in effetti, spesso le donne sono “seconde percettrici” di reddito da lavoro nel nucleo familiare e la bassa retribuzione non si traduce necessariamente in un rischio di povertà familiare. In generale, infatti, il rischio di povertà lavorativa tra gli occupati a basso reddito da lavoro si attesta al 37,4%, a indicare che quasi i due terzi dei lavoratori con basso reddito non sono a rischio di povertà lavorativa. Ampio lo svantaggio degli stranieri, che risulta un rischio di povertà lavorativa nel 22,6% dei casi rispetto all’8,9% stimato per gli italiani. Le caratteristiche familiari sono molto rilevanti nel determinare la condizione di povertà lavorativa: l’indicatore risulta pari al 12,7% per le persone sole, quasi il doppio rispetto al 6,6% delle coppie senza figli. La presenza di figli accentua il rischio, che passa dall’8,1% per le coppie con un figlio al 21,7% per quelle con tre o piu’ figli. Nel caso in cui all’interno del nucleo vi siano piu’ percettori di reddito, l’incidenza della povertà lavorativa risulta notevolmente ridotta: se per i nuclei con un solo percettore l’indicatore e’ pari al 20,1%, per quelli con tre o piu’ percettori fino scende al 5,5%.