LA MISSIONE DI MELONI A NEW YORK
Missione di tre giorni a New York della premier Meloni. Prima la premiazione al Global Citizen Award 2024 dell’Atlantic Council come prima donna capo di governo in Italia e ‘per il suo forte sostegno all’Ue e alla Nato e per la sua presidenza del G7 nel 2024’. La consegna da parte del patron di Tesla, X e SpaceX Elon Musk. Poi l’intervento all’Assemblea generale sulle riforma dell’Onu . ‘Nessuno Stato può governare da solo le crisi del nostro tempo, per questo l’Italia è convinta sostenitrice del multilateralismo e della sua istituzione più rappresentativa che è l’ Onu’, ha detto parlando al Vertice del Futuro al Palazzo di Vetro. La riforma del Consiglio di sicurezza, ha aggiunto, non crei ‘Nazioni di Serie A e B’, sia ispiraa ai principi di uguaglianza, democraticità e rappresentatività’.
Gaza, Ucraina, la riforma del Consiglio di Sicurezza, il traffico di esseri umani, l’intelligenza artificiale e il piano Mattei: la premier Giorgia Meloni
interviene all’Assemblea dell’Onu e spazia su molti temi. A Gaza, ha detto il presidente del Consiglio, “l’imperativo è raggiungere senza ulteriori ritardi un cessate il fuoco e l’immediato rilascio degli ostaggi”. Sì al diritto dei palestinesi ad uno Stato ma “con una leadership ispirata al dialogo”. Israele tutela i civili. “L’aggressione russa all’Ucraina ha un effetto domino le cui conseguenze sono pagate dai più deboli”, ha aggiunto, e sull’Ucraina “non possiamo voltarci dall’altra parte”. “L’Onu – ha detto – deve fare di più contro il traffico di esseri umani. Per il Consiglio di Sicurezza”sarebbe un errore creare nuove gerarchie, con nuovi seggi permanenti. Vogliamo una riforma che serva a rappresentare meglio tutti, non a rappresentare meglio alcuni”.
Intervento del Presidente Meloni alla 79ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite
Mercoledì, 25 Settembre 2024
Signor Presidente, signor Segretario Generale, colleghi delegati, signore e signori,
è un’epoca molto complessa quella nella quale viviamo, e il carattere comune delle sfide del nostro tempo ci impone di ragionare in un modo completamente nuovo.
La ferita inferta al sistema internazionale fondato sulle regole dalla guerra d’aggressione russa all’Ucraina sta avendo effetti destabilizzanti molto oltre i confini nella quale si consuma, e come un domino sta contribuendo a riaccendere, o far detonare, altri focolai di crisi.
I sistemi politici democratici affrontano insidie inedite. La frammentazione geo-economica cresce con conseguenze con le quali tutti dobbiamo fare i conti, ma soprattutto devono farci i conti le Nazioni più fragili.
Il cammino per la riduzione delle emissioni ambientali è ad un bivio, stretto tra approcci ideologici e scarsa solidarietà, soprattutto dei principali emettitori di gas a effetto serra.
La scarsità di acqua e di energia incidono sempre più profondamente sullo sviluppo, sulla sicurezza alimentare, sulla stabilità sociale e di intere comunità.
L’utilizzo strumentale della fede religiosa diventa fattore di tensione o, peggio, fattore di persecuzione: sono milioni nel mondo le persone che soffrono a causa della loro professione di fede, e al primo posto come vittime ci sono i cristiani.
Assistiamo al dirompente avvento dell’intelligenza artificiale generativa, una rivoluzione che pone interrogativi del tutto inediti. Anche se non sono certa che dovremmo chiamarla intelligenza: intelligente è chi fa le domande, non chi dà le risposte processando i dati. In ogni caso, si tratta di una tecnologia che, a differenza di tutte quelle che abbiamo visto nel corso della storia, disegna un mondo nel quale il progresso non ottimizza più le competenze umane, ma può sostituirle, con conseguenze che rischiano di essere drammatiche soprattutto nel mercato del lavoro, verticalizzando, concentrando ancora di più la ricchezza. Non a caso l’Italia ha voluto che questo tema fosse al centro della sua presidenza del G7, perché vogliamo fare la nostra parte nella definizione di una governance globale dell’intelligenza artificiale, che sia capace di conciliare innovazione, diritti, lavoro, proprietà intellettuale, libertà di espressione, democrazia.
Questa complessità, animata da sfide che sono profondamente interconnesse tra loro, ci dice prima di tutto una cosa: i problemi cosiddetto del Sud Globale sono anche i problemi del Nord del mondo, e viceversa. Non esistono più blocchi omogenei, e l’interdipendenza dei nostri destini è un fatto. Per questo siamo chiamati a ragionare fuori dagli schemi che abbiamo conosciuto nel passato.
La sfida è un cambio deciso di paradigma nei rapporti tra le Nazioni e nel funzionamento degli organismi multilaterali e l’obiettivo è costruire un modello di cooperazione completamente nuovo.
Personalmente sono convinta che questo nuovo modello possa e debba fondarsi su alcuni principi, purtroppo non scontati: il rispetto reciproco, la concretezza, la condivisione. Significa relazionarsi con l’altro da pari a pari, recuperare quella capacità di saper ascoltare per comprendere le ragioni dell’altro che è alla base di qualsiasi fiducia reciproca.
E proprio perché crediamo in questo approccio, l’Italia ha concepito tutti gli appuntamenti del suo anno di Presidenza G7 in formato aperto, con un outreach molto ampio, che ha coinvolto tutti i Continenti, il G20, l’Unione Africana, le Istituzioni economiche-finanziarie e le Banche multilaterali di sviluppo. Abbiamo dimostrato che il G7 non è una fortezza chiusa, che vuole difendersi da qualcuno, ma un’offerta di valori aperta al mondo.
Penso poi alla svolta che l’Italia ha impresso, particolarmente ai propri rapporti con il continente africano. Abbiamo reso operativo, a livello bilaterale, il nostro piano di investimenti per l’Africa, il Piano Mattei, con progetti pilota in nove Nazioni del continente, creando partenariati strategici con ognuna di queste Nazioni. Abbiamo strutturato sinergie operative con il Global Gateway dell’Unione europea e la Partnership for Global Infrastructure and Investment del G7.
Abbiamo costruito strumenti finanziari nuovi con la Banca Africana di Sviluppo e con la Banca Mondiale, per permettere l’afflusso di risorse pubbliche e private. Abbiamo immaginato soluzioni innovative, come l’Apulia Food Security Initiative, per rafforzare la produzione agricola e la sicurezza alimentare, o l’Energy for Growth in Africa, per sostenere la produzione e la distribuzione di energia pulita. Abbiamo deciso di sostenere progetti strategici per l’Africa, come il corridoio di Lobito.
Abbiamo fatto tutto questo senza mai smettere di coinvolgere e confrontarci con i nostri interlocutori africani. Perché il nostro intento non è imporre, ma è condividere. E, insieme, scegliere priorità, settori di intervento, ambiti di azione. Dove potevamo essere un valore aggiunto, allora lì abbiamo offerto il nostro punto di vista e la nostra collaborazione. Con progetti concreti che già stanno dando i loro frutti. In Algeria, dove renderemo fertili 36 mila ettari di terreno desertico per la coltivazione, costruiremo una filiera locale di trasformazione e produzione. In Kenya, con lo sviluppo di una filiera di biocarburanti che arriverà entro la fine del 2025 a sostenere fino a duecentomila piccole imprese agricole. In Etiopia, con un vasto intervento di recupero ambientale dell’area del lago Boye, nell’ovest del Paese.
Perché, voglio ribadirlo ancora una volta, il nostro obiettivo, di fronte a decine di migliaia di persone che affrontano viaggi disperati per entrare illegalmente in Europa, è garantire prima di tutto il loro diritto a non dover emigrare, a non dover recidere le proprie radici semplicemente perché non hanno altra scelta.
Una disperazione sulla quale lucrano organizzazioni di criminali senza scrupoli sempre più potenti, sempre più ramificate. Proposi un anno fa, da questo stesso podio, di dichiarare una guerra globale ai trafficanti di esseri umani, e sono felice che quell’appello non sia caduto nel vuoto, e che in primis a livello G7 si sia trovata l’intesa per dare vita ad un coordinamento internazionale per smantellare queste reti criminali. Ma bisogna fare di più. Le Nazioni Unite devono fare di più, perché queste organizzazioni criminali stanno riproponendo, sotto altre forme, una schiavitù – intesa come mercificazione dell’essere umano – che questa Assemblea, in altri tempi, ebbe un ruolo fondamentale nel debellare definitivamente. Non si torna indietro.
Sconfiggere gli schiavisti del Terzo millennio è possibile, e possiamo farlo se uniamo le forze, con una maggiore cooperazione e con iniziative congiunte tra le nostre Forze di polizia, i servizi di intelligence e le autorità giudiziarie, adottando la formula “follow the money”. Una intuizione di due grandi giudici italiani, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che è diventata un modello, anche a livello internazionale, per contrastare le organizzazioni criminali.
È un metodo con il quale l’Italia intende rafforzare la sua cooperazione anche con le Nazioni dell’America Latina.
Perché c’è un filo rosso che lega le organizzazioni che speculano sulla tratta di esseri umani in Africa e chi gestisce il traffico di stupefacenti in America Latina, o l’abominio di chi rapisce i bambini per renderli schiavi del sesso di uomini ricchi senza scrupoli, privandoli del loro presente e del loro futuro.
America Latina dove, come purtroppo accade in diverse regioni del mondo, le legittime aspirazioni di libertà e democrazia di decine di milioni di persone continuano a rimanere disattese. Penso in particolare al popolo venezuelano, a cui va tutta la nostra solidarietà e il nostro sostegno. La comunità internazionale non può rimanere a guardare mentre, a distanza di quasi due mesi dalle elezioni del 28 luglio scorso, ancora non è stato riconosciuto il risultato elettorale, ma nel frattempo si è consumata una brutale repressione, la morte di decine di manifestanti, l’arresto arbitrario di migliaia di oppositori politici, l’incriminazione e l’esilio del candidato presidente dell’opposizione democratica. È nostro dovere alzare la voce.
Cari amici, nel 2025 celebreremo l’ottantesimo anniversario della Carta delle Nazioni Unite. Carta che sancisce principi e valori che in questo tempo sono stati messi in discussione addirittura da un membro permanente del Consiglio di sicurezza, ma sulla cui difesa l’Italia non intende arretrare. Perché sono principi e valori posti a garanzia di tutti, soprattutto delle Nazioni che hanno meno strumenti per difendersi. Come sempre la legge deve essere uguale per tutti, ma perché questo serve soprattutto a difendere i più deboli.
È per questo che non possiamo voltarci dall’altra parte di fronte al diritto dell’Ucraina a difendere le sue frontiere, la sua sovranità, la sua libertà. Così come affermiamo il diritto dello Stato di Israele di difendersi da attacchi esterni, come quello orribile del 7 ottobre scorso, ma allo stesso tempo chiediamo ad Israele di rispettare il diritto internazionale, tutelando la popolazione civile, anch’essa in gran parte vittima di Hamas e delle sue scelte distruttive.
E seguendo lo stesso ragionamento sosteniamo, ovviamente, anche il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato. Ma affinché questo possa vedere presto la luce è necessario che i palestinesi lo affidino a una leadership ispirata al dialogo, alla stabilizzazione del Medio Oriente e all’autonomia.
Gli Accordi di Abramo hanno dimostrato la possibilità di convivere e cooperare vantaggiosamente sulla base del mutuo riconoscimento. Se questa è la prospettiva sulla quale tutti dobbiamo lavorare, e lo è, oggi l’imperativo è raggiungere, senza ulteriori ritardi, un cessate il fuoco a Gaza e l’immediato rilascio degli ostaggi israeliani. Non possiamo più assistere a tragedie come quelle di questi giorni nel Sud e nell’Est del Libano, con il coinvolgimento di civili inermi, tra cui numerosi bambini.
Detto questo, l’anniversario del prossimo anno impone a tutti noi un’occasione storica. Essere finalmente consapevoli che, piaccia o no, i problemi di oggi ci coinvolgono e ci riguardano tutti.
Dobbiamo saperci mettere in discussione, con umiltà e consapevolezza. E questo impone anche una riflessione seria sul multilateralismo, sulla capacità delle organizzazioni internazionali di essere all’altezza di questa epoca e delle sfide che ci pone di fronte. Parlo ovviamente, anche delle Nazioni Unite, della sua capacità di riformarsi partendo da ciò che è utile e necessario, e non da ciò che è più facile.
L’Italia è convinta che qualsiasi revisione dell’architettura di funzionamento delle Nazioni Unite, a partire dal Consiglio di Sicurezza, non possa prescindere dai principi di eguaglianza, democraticità, rappresentatività. Sarebbe un errore creare nuove gerarchie, con nuovi seggi permanenti. Siamo aperti a discutere la riforma senza alcun pregiudizio, ma vogliamo una riforma che serva a rappresentare meglio tutti, non a rappresentare meglio alcuni.
Colleghi, delegati, signore e signori, è un tempo difficile quello nel quale siamo stati chiamati a governare le nostre Nazioni. Tutto intorno a noi sembra cambiare, tutto viene messo in discussione, e le poche certezze che pensavamo di avere non sono più tali. Il destino ci sfida, ma in fondo lo fa per metterci alla prova. Nella tempesta, noi possiamo dimostrare di essere all’altezza del compito che la storia ci ha dato. Dimostrarlo ai cittadini che governiamo, dimostrarlo ai nostri figli. Dimostrarlo a noi stessi, forse soprattutto a noi stessi, perché come diceva un grande patriota italiano, Carlo Pisacane, protagonista di quel Risorgimento che fece dell’Italia una Nazione unita, “ogni ricompensa la troverò nel fondo della mia coscienza”.
Affrontare i problemi piuttosto che rinviarli, avanzare piuttosto che indietreggiare, preferire ciò che è giusto a ciò che è utile, questo è il nostro compito, difficile ma necessario.
L’Italia, come sempre, è pronta a fare la sua parte.
Grazie.
ECCO L’INTERVENTO DELLA PREMIER AL VERTICE DEL FUTURO AL PALAZZO DI VETRO
Signor Segretario Generale, colleghi delegati,
Il Patto che abbiamo sottoscritto è il frutto di un articolato processo negoziale per il quale voglio ringraziare il Presidente dell’Assemblea Generale, i negoziatori e tutti gli Stati membri.
La fase che si apre oggi, quella dell’attuazione, è ancora più complessa e ancora più decisiva.
Le sfide che la storia ci ha messo di fronte sono numerose e multiformi: il cambiamento climatico, le disuguaglianze sociali ed economiche, le crisi umanitarie e sanitarie, la criminalità transnazionale, i conflitti armati – a partire dalla inaccettabile guerra di aggressione russa nei confronti di una Nazione sovrana come l’Ucraina – che rendono sempre più precaria la sicurezza internazionale. Di fronte a uno scenario così complesso non abbiamo altra scelta che quella di agire.
Penso che sia evidente a tutti che viviamo un tempo di crisi. Però le crisi nascondono sempre anche un’opportunità. La parola crisi, del resto, deriva dal greco krisis, che significa scelta, decisione. Le crisi costringono a mettersi in discussione, a schierarsi, non consentono tentennamenti.
Sappiamo tutti che nessuno stato può efficacemente governare da solo le sfide di questo tempo. Per questo l’Italia è una convinta sostenitrice del multilateralismo e della sua istituzione più rappresentativa, le Nazioni Unite. Il luogo nel quale ogni voce viene ascoltata, il luogo nel quale siamo chiamati ad imparare, a capirci e a rispettarci.
Chiaramente, ogni organizzazione è efficace se le sue regole sono giuste e condivise. Per questo siamo convinti che qualsiasi revisione della governance delle Nazioni Unite, particolarmente per ciò che riguarda il Consiglio di Sicurezza, non possa prescindere dai principi di eguaglianza, democraticità e rappresentatività.
La riforma ha un senso se viene fatta per tutti e non solamente per alcuni. Non ci interessa creare nuove gerarchie, e non crediamo che esistano nazioni di serie A e nazioni di serie B. Esistono le Nazioni, con le loro storie, le loro peculiarità, e con i loro cittadini, che hanno tutti gli stessi diritti, perché gli individui nascono liberi e uguali.
Significa anche che dobbiamo pensare in modo nuovo la cooperazione tra le nazioni. L’Italia lo ha fatto, per esempio, con il Piano Mattei per l’Africa, un piano di investimenti pensato per cooperare con le nazioni africane attraverso un approccio che non è paternalistico né caritatevole, né predatorio, ma basato sul rispetto e sul diritto per ciascuno di poter competere ad armi pari.
È la nostra ricetta per promuovere lo sviluppo di un continente troppo spesso sottovalutato, per costruirne la stabilità, e garantire finalmente un diritto che fino ad oggi è stato negato a troppi giovani, che è il diritto a non dover emigrare.
E quando parliamo di sviluppo non possiamo non occuparci delle nuove frontiere del progresso tecnologico, a partire dall’intelligenza artificiale generativa. Un fenomeno del quale, temo, non si abbia ancora sufficiente consapevolezza.
L’intelligenza artificiale è, soprattutto, un grande moltiplicatore. Ma la domanda alla quale dobbiamo rispondere è: che cosa vogliamo moltiplicare? Per capirci, se questo moltiplicatore venisse usato per curare malattie oggi incurabili, allora quel moltiplicatore concorrerebbe al bene comune. Ma se invece quel moltiplicatore venisse utilizzato per divaricare ulteriormente gli equilibri globali, allora gli scenari sarebbero potenzialmente catastrofici.
Le macchine non risponderanno a queste domande. Noi possiamo farlo, la politica deve farlo. Ed è la politica che deve garantire che l’intelligenza artificiale rimanga controllata dall’uomo e mantenga l’uomo al centro.
Sono tutte materie che affrontiamo in questo patto, e sono tutte materie che l’Italia ha voluto porre al centro dell’agenda del suo anno di Presidenza G7.
Eccolo, il ruolo del multilateralismo. Non un club nel quale incontrarsi per scrivere inutili documenti zeppi di buoni propositi, ma il luogo nel quale si devono fare i conti con l’urgenza delle decisioni, il luogo nel quale le idee devono diventare azione, facendo sintesi tra le diverse sensibilità.
Perché non dobbiamo mai dimenticare che le decisioni che prendiamo oggi saranno il mondo nel quale i nostri figli vivranno domani.
Come diceva William Stanley Merwin, uno dei principali poeti americani del Dopoguerra, noi “siamo l’eco del futuro”.
Vi ringrazio.
Il Presidente Meloni alla Cerimonia di conferimento del Global Citizen Awards