
L’UE divisa su Gaza mentre i ministri degli Esteri cercano una via diplomatica per disinnescare la crisi in Medio Oriente.
L’Unione Europea si trova in uno stato di crescente allarme mentre naviga in acque turbolente sulla crisi in Medio Oriente. Al tavolo dei 27 ministri degli Esteri, il conflitto tra Israele e Iran è piombato come un macigno, sollevando preoccupazioni per le sue possibili e nefaste conseguenze. Sebbene nessuno a Bruxelles metta in discussione il sostegno a Israele e la ferma opposizione a un Iran dotato di armi atomiche, la linea europea sembra divergere sia da quella di Donald Trump che da quella di Benjamin Netanyahu.
L’UE invoca un ritorno immediato ai tavoli negoziali e si schiera apertamente contro un “cambio di regime messo in atto con la forza” in Iran. Il dilemma per le cancellerie europee è che gli eventi sul campo sembrano progredire più velocemente delle dichiarazioni ufficiali. Nonostante l’intensificarsi dei raid in Medio Oriente, il richiamo alla diplomazia, giunto quasi all’unisono, appare ancora flebile. Un nuovo tavolo negoziale, simile a quello tenutosi venerdì a Ginevra, sembra ancora lontano.
L’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’UE, Kaja Kallas, ha sentenziato: “Bisogna ridurre al minimo il rischio di un’escalation”. Le ha fatto eco il ministro francese Jean-Noël Barrot, che, al pari di Gran Bretagna e Italia, si è detto contrario al rovesciamento militare del regime iraniano. Anche le capitali più vicine al governo israeliano, inclusa Roma, non intendono spingersi verso quel “Make Iran Great Again” provocatoriamente lanciato dal presidente americano.
Il Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha ribadito la disponibilità di Roma a ospitare un tavolo negoziale, avendo già contattato i suoi omologhi israeliani e iraniani. Per Tajani, il punto principale è “riattivare il dialogo tra Washington e Teheran”.
Alla base dei continui appelli alla moderazione dell’Europa c’è anche il timore crescente per gli effetti economici e di sicurezza della guerra. La possibile chiusura dello Stretto di Hormuz, minacciata dai Pasdaran, produrrebbe “danni enormi per tutti”, come sottolineato da Tajani, interpretando la linea comune dell’UE. La sola possibilità che Hormuz sia off limits ha già generato allarme tra gli europei sul fronte del petrolio. Ungheria e Slovacchia hanno chiesto il ritiro del piano Repower, a partire dallo stop al gas russo, e l’abbassamento del price cap, cuore del 18° pacchetto di sanzioni, sta perdendo consensi.
Tuttavia, è sulla questione di Gaza che l’UE mostra tutte le sue divisioni. Il report di Kallas sulle violazioni del diritto umanitario da parte del governo Netanyahu è rimasto lettera morta. Un gruppo di Paesi, guidato dalla Spagna, ha proposto la possibilità di sospendere l’accordo di associazione UE-Israele o di fermare l’export di armi, invocando la necessità di “tener separata la questione Iran da quella di Gaza”. Ma su queste proposte il quorum è lontanissimo, con Italia e Germania che si collocano sulla sponda opposta. Tajani ha sottolineato che “le scelte velleitarie non servono a nulla e sono finalizzate magari alla politica interna dei Paesi”, ribadendo che “è con un dialogo aperto che si possono avere dei risultati” a Gaza.
L’Europa si trova dunque di fronte a un complesso equilibrio tra il sostegno agli alleati, la necessità di evitare un’escalation e il tentativo di mantenere una posizione unitaria, nonostante le profonde divergenze interne.