La fragile tregua a Gaza, durata solo diciotto giorni e siglata con l’accordo di Sharm el-Sheikh noto come “piano Trump”, è crollata. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dato ordine all’esercito di lanciare “raid massicci e immediati” sulla Striscia, accusando Hamas di aver violato gli accordi.
Il bilancio degli attacchi israeliani si è aggravato rapidamente: fonti ospedaliere locali riferiscono di 65 persone uccise sul territorio palestinese nel rinnovato ciclo di violenze. La scintilla che ha riacceso il conflitto è stata un attacco che ha portato all’uccisione di un soldato israeliano nell’area di Rafah nel pomeriggio di ieri, secondo quanto reso noto dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF).
Dagli Stati Uniti, il Presidente Donald Trump ha cercato di smorzare i timori di un collasso totale, affermando che “nulla” metterà a repentaglio il cessate il fuoco. Tuttavia, Trump ha allo stesso tempo giustificato l’azione israeliana, aggiungendo che Israele “deve reagire” se i suoi soldati vengono uccisi, un’affermazione che di fatto autorizza la risposta militare di Tel Aviv.
In contrasto con i toni drammatici, il presidente americano J.D. Vance ha minimizzato l’accaduto definendole “scaramucce” e sostenendo che “la pace resisterà”.
A dare il via all’escalation, un’imboscata contro una squadra del genio militare a Rafah. L’IDF ha risposto con l’artiglieria all’attacco condotto da militanti di Hamas con missili anticarro e cecchini.
L’episodio di Rafah è stato solo l’ultimo di una serie di tensioni culminate in mattinata con la vicenda della finta restituzione di una salma. Secondo Israele, Hamas aveva inscenato la consegna di pochi resti, spacciandoli per il corpo di un ostaggio, mentre si trattava del soldato Ofir Tzarfati, la cui salma era già stata recuperata dall’IDF nel dicembre 2023.
Tale atto è stato interpretato da Israele come una prova del mancato rispetto dei patti e del tentativo di ritardare la restituzione delle 13 salme dei rapiti del 7 ottobre 2023 ancora detenute da Hamas. L’IDF ha anche diffuso un video che documenterebbe la messinscena. Questo episodio aveva già portato Netanyahu a convocare una riunione d’urgenza, dove l’opzione di una ripresa della guerra era stata discussa ma inizialmente frenata in attesa di consultazioni con Washington.
Dopo l’attacco di Rafah, Netanyahu ha deciso di agire informando la Casa Bianca. Il movimento Hamas ha negato la responsabilità dell’attacco e ha accusato Israele di aver violato per primo la tregua, rinviando in risposta la prevista restituzione di un’altra salma.
Nel giro di poche ore, sono state bombardate la città di Gaza, Rafah e i campi profughi di Deir al-Balah e Shati. Israele ha inoltre deciso di rimettere sotto il proprio controllo una porzione maggiore del territorio della Striscia, spostando la “linea gialla” oltre cui si era ritirato in base agli accordi.
Le reazioni politiche a Tel Aviv sono state immediate: Israel Katz (Ministro della Difesa): “Hamas pagherà molte volte per aver attaccato i soldati e per aver violato l’accordo per restituire gli ostaggi caduti”. Itamar Ben Gvir (Ministro della Sicurezza nazionale): “Non puoi fare patti con il diavolo. […] è ora di spezzare quelle gambe su cui ancora si regge Hamas”.
Il Capo di Stato Maggiore israeliano, Eyal Zemur, ha concluso l’analisi della situazione affermando: “La guerra non è ancora finita”.