
Dopo mesi di stallo e pessimismo, un barlume di speranza si accende sull’Ucraina. A Bruxelles si respira una cauta aria di ottimismo, alimentata dai recenti sviluppi diplomatici che sembrano aprire la strada a un possibile accordo di pace. Nelle scorse ore riunione straordinaria dei leader europei in videoconferenza, convocata dal presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa
Il recente vertice alla Casa Bianca tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il presidente statunitense Donald Trump e i leader europei non solo ha evitato il disastroso esito dell’incontro di febbraio, ma ha anche creato le premesse per un cambiamento di rotta.
Due i punti cruciali che hanno segnato la svolta:
- L’apertura degli Stati Uniti a fornire a Kiev garanzie di sicurezza una volta terminata la guerra. Sebbene Trump abbia precisato che si tratterebbe di un “coordinamento” senza l’impiego di truppe americane, l’iniziativa è stata accolta con favore.
- La disponibilità di Vladimir Putin ad alzare il livello dei colloqui, fino a un possibile incontro diretto con Zelensky. Una mossa che la Commissione europea ha definito un “enorme passo avanti”, vista la precedente reticenza del presidente russo.
L’ottimismo è stato ribadito dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha sottolineato i progressi su “solide garanzie di sicurezza, la fine dello spargimento di sangue, le sanzioni e il ritorno dei bambini rapiti”.
Anche il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha confermato che l’attività diplomatica sta accelerando. Parlando da Lisbona, ha evidenziato che la priorità europea resta “fermare le uccisioni” e ha ribadito l’importanza di mantenere la pressione attraverso le sanzioni contro la Russia. Costa ha inoltre avuto un colloquio telefonico con Zelensky per riaffermare il sostegno dell’UE e l’impegno a portare avanti il processo di adesione dell’Ucraina.
Tuttavia, non mancano le frizioni. L’unità europea mostra le prime crepe:
- Il premier ungherese, Viktor Orban, si è detto fortemente contrario all’ingresso di Kiev nell’Unione, sostenendo che l’adesione “non offre alcuna garanzia di sicurezza”.
- Il premier slovacco, Robert Fico, ha respinto il piano che prevede la fornitura di armi americane per 100 miliardi di dollari, finanziato dall’UE, e ha sottolineato che senza una discussione sui cambiamenti territoriali non ci potranno essere progressi.
Nonostante il clima di cauto ottimismo, il percorso verso la pace in Ucraina è ancora un labirinto pieno di ostacoli. Il recente vertice alla Casa Bianca, pur avendo aperto nuove prospettive, ha lasciato irrisolti tutti i nodi cruciali del negoziato.
Uno dei primi punti di scontro riguarda il cessate il fuoco. Mentre il presidente ucraino Zelensky, supportato dai leader europei come Macron e l’attuale Cancelliere tedesco, sostiene che le armi debbano tacere prima di avviare qualsiasi trattativa, il presidente statunitense Donald Trump si allinea alla posizione russa, affermando che si può negoziare “anche sotto le bombe”. Una visione che ricalca le parole di Dmitri Medvedev, ex presidente russo.
Sul tavolo c’è l’annosa questione territoriale. Le posizioni di Mosca e Kiev rimangono irremovibili.
- Mosca non solo pretende il riconoscimento definitivo della Crimea, ma vuole l’intero Donbass e il ritiro delle truppe ucraine dalle regioni di Donetsk e Luhansk, oltre a un congelamento del fronte nelle aree parzialmente occupate di Kherson e Zaporizhzhia.
- Kiev ribadisce la sua intransigenza. Come ha spiegato Zelensky a Trump, cedere il Donbass equivarrebbe a lasciare un punto strategico di difesa, aprendo la strada a future invasioni russe. “Nessun regalo all’invasore”, la sua posizione.
Anche il tema delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina è tutt’altro che risolto. Le ipotesi in campo, da un “Articolo 5” in stile NATO a uno scudo di difesa aerea o a un rafforzamento militare, dividono gli occidentali e sono viste con diffidenza dal Cremlino.
Infine, la presenza di “boots on the ground” (soldati sul campo) continua a creare tensioni. Alcune capitali europee, tra cui Parigi, Londra e Berlino, vorrebbero inviare militari come forze di interposizione. Tuttavia, Putin ha posto un veto assoluto all’ingresso di truppe di Paesi NATO, e Trump ha già chiarito che gli Stati Uniti non invieranno mai i propri soldati. Le opzioni, ancora nebulose, spaziano da una grande forza di peacekeeping a una più piccola forza di osservazione.