
Nella sala Italia dell’UNAR (Unione Associazioni Regionali di Roma), si è svolta una rassegna di cortometraggi moderata da Marco Lollobrigida, attuale vicedirettore di Rai Sport. Durante l’evento, il pubblico ha avuto l’opportunità di vedere e intervistare gli autori di Passo a prenderti, Il cortometraggio diretto da Federico Fuccillo, con Chiara Graziani a curare il testo e la direzione della fotografia e prodotto dal Laboratorio d’Arte Cinematografica di Roma, che ha ottenuto il premio come miglior cortometraggio drammatico a Los Angeles e Londra, oltre a essere in concorso ai David di Donatello 2025 e finalista in vari festival nazionali. Il corto è interpretato da Paola Bongiorno e Alessio Santelli.

TRAMA (da cinescopiodotblog.wordpress.com): C’è molto da aspettare per le strade di Roma: la persona che vuoi raggiungere sembra sempre più lontana. Il nervosismo di un padre intrappolato nel traffico a quel punto ricade sul rapporto, già compromesso, con la figlia. Una telefonata rapida e fredda, che dura meno di un minuto, rivela da subito un affetto negato a un padre del tutto disorientato. La figlia sale in macchina, quasi obbligata, dopo il turno di lavoro. Rimane in silenzio a guardare fuori dal finestrino. Non sa di cosa parlare, non mostra riconoscenza al padre, né tantomeno porta rispetto all’amante, segretaria del padre. Ora, prima di lasciare la figlia a casa, il padre deve accompagnare la compagna a un appuntamento, uno di quelli poco importanti, che ti fanno sembrare di occupare facoltosamente il tuo tempo. La ragazza è indignata, c’è qualcosa di più grande che forse non conosce la sensibilità di un genitore che, raggiunta una certa età, crede di conoscere abbastanza le fragilità dei figli o giocare la carta ‘’io sono il papà, so come comportarmi’’.

A volte si preferisce dedicare poco tempo a una miriade di questioni leggere, routinarie, piuttosto che affrontare un problema familiare con tutta la dedizione e il tempo necessario. Il padre sembra occupato in una serie infinita di impegni giornalieri, come se in quella macchina ci vivesse, come se preferisse saltellare da una parte all’altra di uno spazio, senza tregue, senza riflessione. Quanto affanno, quanto ci costa far capire agli adulti che i drammi non sono solo fuori di noi e che quindi non basta risolverli con la faccia tosta! Sarà forse che gli adulti abbandonano per sempre le loro debolezze, al punto da non riconoscere quelle altrui? All’inizio i genitori vedono i figli come se fossero ancora troppo piccoli per capire, e a cui risulta più facile nascondere le cose o mostrargli un mondo felice privo di distorsioni, e poi, quando diventano grandi, credono che siano abbastanza autonomi e maturi da non interferire nella vita dei genitori. Nel cortometraggio di Chiara e Federico, si scambiano i ruoli, chi ha un carattere più imperativo tra padre e figlia, nonostante le debolezze personali, è proprio lei, una ragazza che soffre di anoressia, ma che riconosce al padre ancora molto da imparare. Il padre la accarezza, è lui che chiede un appoggio, un apprezzamento. Lei ci ha provato, ma è faticoso insegnare a chi ti circonda come volersi bene da soli, quando anche noi stessi avremmo voluto qualcuno che ce lo insegnasse.

