
Il sistema pensionistico italiano si trova di fronte a una nuova sfida: lo Stato dovrà reperire 6,6 miliardi di euro nei prossimi anni per coprire le conseguenze dello stralcio dei crediti contributivi fino al 2015. L’allarme è stato lanciato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, che ha evidenziato il peso di questa misura sulle pensioni dei lavoratori dipendenti. La cifra rappresenta i contributi dovuti ma non versati dalle aziende, successivamente cancellati attraverso tre provvedimenti introdotti tra il 2018 e il 2022. Questa situazione ha generato un ammanco nelle casse dell’Inps, che ora dovrà essere colmato attraverso la fiscalità generale.
L’opposizione politica non ha tardato a reagire. Il Partito Democratico ha accusato la Lega, ricordando l’operazione “saldo e stralcio” promossa da Matteo Salvini. La deputata dem Malavasi ha criticato duramente l’ex ministro, definendolo “il peggior ministro della storia”. La questione solleva interrogativi sulla sostenibilità del sistema pensionistico e sull’equità delle scelte politiche adottate negli ultimi anni. Il governo dovrà ora trovare soluzioni per reperire le risorse necessarie e garantire la stabilità delle pensioni future.
Mentre il governo è impegnato a valutare il congelamento dell’aumento di tre mesi dell’età pensionabile, previsto per il 2027, e a reperire le risorse necessarie, un nuovo allarme scuote il sistema previdenziale italiano. Il Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’Inps ha lanciato l’allarme: lo stralcio dei crediti contributivi fino al 2015, attuato attraverso provvedimenti tra il 2018 e il 2022, creerà un buco di 6,6 miliardi di euro da coprire con la fiscalità generale per garantire le pensioni dei lavoratori dipendenti.
La differenza principale tra lavoratori autonomi e dipendenti risiede nel fatto che, per i primi, lo stralcio dei debiti contributivi si traduce in pensioni future più basse, mentre per i dipendenti vige l’automaticità delle prestazioni: anche in caso di contributi non versati dalle aziende e successivamente cancellati, gli assegni pensionistici devono essere corrisposti sulla base dei contributi dovuti.
Il Civ dell’Inps, nell’approvare la delibera sul riaccertamento dei residui attivi e passivi al 31 dicembre 2023, ha evidenziato che lo stralcio delle cartelle contributive comporterà la cancellazione di 16,4 miliardi di euro. Nel dettaglio, la cancellazione dei residui attivi (15,4 miliardi) è dovuta a:
- Stralcio dei crediti fino a 1.000 euro maturati dal 2000 al 2010 (0,4 miliardi).
- Stralcio dei crediti fino a 5.000 euro maturati dal 2000 al 2010 (5,4 miliardi, decreto legge 41/2021).
- Stralcio dei crediti fino a 1.000 euro maturati dal 2000 al 2015 (9,9 miliardi, legge 197/2022).
Le variazioni e le eliminazioni incideranno negativamente sul Rendiconto generale dell’Istituto per 13,4 miliardi di euro, considerando anche l’eliminazione di residui passivi per 2,7 miliardi.
Il Civ dell’Inps ha quindi richiesto un incremento dei trasferimenti statali all’Istituto per coprire il deficit. Tuttavia, questa richiesta si scontra con la difficile situazione dei conti pubblici italiani. Secondo i dati di Bankitalia, a febbraio il debito pubblico ha superato i 3.000 miliardi di euro, raggiungendo i 3.024,3 miliardi, con un aumento di 42,6 miliardi rispetto a gennaio.
Inoltre, Bankitalia ha avvertito che il calo della popolazione in età lavorativa, dovuto alla transizione demografica, potrebbe ridurre il PIL dello 0,9% annuo nei prossimi 25 anni, con una conseguente diminuzione del PIL pro capite dello 0,6% annuo.
Nonostante lo stralcio delle cartelle contributive non influisca sul patrimonio dell’Inps, grazie al Fondo di svalutazione dei crediti, il Civ ha sottolineato la necessità di “interventi compensativi a carico della fiscalità generale” per coprire i 6,6 miliardi di oneri.